Nell’ambito della formazione per i futuri tutor di Liberi Dentro, una preziosa occasione di approfondimento: abbiamo avuto ospite Alba Petruso, funzionario giuridico-pedagogico del carcere Pagliarelli di Palermo, presso il quale siamo attivi col progetto “Caro amico ti scrivo“.

Tantissimi i temi di confronto, da quelli più tecnici, per conoscere le regole di questa realtà così complessa, a quelli più umani, passando dalla funzione teorica delle pene alle conseguenze della detenzione nelle condizioni effettive in cui versano gli istituti penali, fino a toccare gli aspetti più personali.

Condividiamo alcune riflessioni

La dott.ssa Petruso ha ben spiegato le tante criticità della propria professione, tra funzione rieducativa e sovraccarico tale da non consentire di seguire in modo adeguato le persone detenute: ad ogni funzionario ne sono solitamente affidate oltre 100. Impossibile, dunque, impostare percorsi efficaci.

Proprio per questo, afferma, è fondamentale l’apporto che può arrivare dall’esterno mediante i Volontari ed i progetti sociali, quali esempi e modelli valoriali, personali e relazionali sani e ispirativi.

Specie per le persone (che sono tantissime….) provenienti da contesti di grande povertà materiale, culturale ed affettiva, questi rapporti umani, questa presenza, rappresentano un’opportunità estremamente utile e preziosa.

Grazie ad un intervento di Anna, una delle Volontarie, si affronta il tema del delicato confine tra esserci dando sostegno ed entrare in confidenza. Viene sottolineata l’importanza della consapevolezza delle proprie ferite e dinamiche, prima di cimentarsi in questo contesto. Se non elaborate adeguatamente, possono inquinare la relazione, specie quando toccano temi comuni tra la storia personale e quella che ha portato al reato, con ripercussioni dannose per entrambi.

Paola chiede se una persona detenuta può avere, anche solo per un breve tempo, uno spazio privato, di silenzio. Da questo spunto arriviamo a vari temi: il sovraffollamento, i reparti per i casi psichiatrici gravi, al limite della dignità umana, le restrizioni e la privazione di autonomia, anche nelle minime cose. Un ambiente malsano dunque, condiviso da persone detenute, operatori e agenti di polizia, che infatti presentano altissimi tassi di burn-out.

Manuela invita Alba a raccontare le impressioni della prima volta in cui è entrata in carcere. Ripercorriamo l’architettura dei luoghi, i rumori, il senso di oppressione al chiudersi del blindo, la minuscola fessura della porta di ferro posta a pochi centimetri dalla porta con le sbarre di ciscuna cella. Uno spiraglio di connessione col resto del mondo che darebbe angoscia alla maggior parte delle persone…

Troviamo una visione comune, nel pensare che talvolta la linea che separa l’aver commesso un reato o essersi fermati per tempo è sottile. La famiglia ed il contesto nel quale si è cresciuti, le opportunità di studiare, consolidarsi come persone, fanno spesso la differenza.

Al posto di quella persona potremmo esserci noi, o un amico, o un figlio.

E quando riusciamo a vedere noi nell’altro, allora ecco che cambia la prospettiva, cade la separazione.

Una persona detenuta è anche un mio problema, è un problema di tutta la società.

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