Le condivisioni dal percorso Liberi Dentro ad Aosta, di Roberto Pagani:

“Quarta settimana in carcere. Continua l’avventura che io e Manuela Zavan ogni giovedì viviamo per il progetto Liberi Dentro. Oggi il clima è opposto a quello di settimana scorsa. La primavera è esplosa, e mi fanno sorridere le persone che si incrociano per strada con giubbotti e cappotti quando fuori si sta comodamente in maglietta. La temperatura è schizzata oltre i 20 gradi all’improvviso, e le menti di molti non si sono ancora adeguate a questa esplosione di sole.

Lungo la strada per arrivare al carcere c’è un castello, e ci fermiamo per una breve sosta di aria fresca prima di entrare. Guardo con interesse le mura e le strutture difensive del castello, e mi rendo conto che sono più imponenti di quelle del carcere. Nel medioevo erano i ricchi ed i nobili a rinchiudersi volontariamente in un “carcere”, che per quanto potesse essere sfarzoso e privilegiato aveva le stesse limitazioni di libertà di un carcere moderno. Questo pensiero mi spinge a riconsiderare sempre più profondamente il concetto di “liberi dentro”.

I controlli sono sempre più fluidi, e mi rendo conto che in poche settimane ho fatto l’abitudine al clima del carcere. Non mi impressiona più come ai primi ingressi, ed ora comprendo meglio alcuni commenti dei partecipanti al progetto che si sentono quasi “a casa” tra queste mura. Certo, hanno il desiderio di tornare in libertà, ma alcuni di loro non hanno una fretta spasmodica di ottenerla. La capacità di adattamento di noi umani è straordinaria.

Oggi parliamo di Perdono. Un concetto spesso interpretato secondo ottiche religiose o di buonismo, ma che noi portiamo a livello coscienziale. Inizialmente dai partecipanti emergono resistenze, espresse da frasi come “no, quella offesa non la perdonerò mai”, oppure “se mi toccano i figli non c’è possibilità di perdono”. Però i toni duri si addolciscono man mano che spieghiamo il perdono come atteggiamento interiore di integrazione ed elaborazione di un vissuto di sofferenza. E quando si fornisce una prospettiva per gestire la sofferenza, l’ascolto diventa più profondo, e alcune resistenze si ammorbidiscono.I partecipanti sono molto attivi, fanno molte domande e osservazioni. In particolare Pasquale (nome fittizio) vuole stabilire un rapporto umano con noi, fa domande su Putin e altre questioni per entrare in relazione con noi e col nostro pensiero. Cerchiamo di mantenere il focus sul contenuto del progetto, ma alcune digressioni sono inevitabili e funzionali a costruire anche un rapporto di fiducia e mutua comprensione. La pratica di perdono che Manuela guida è molto intensa, e quando al termine apro gli occhi li vedo ancora con le mani sul cuore e una espressione serafica in volto. Anche il ragazzo (lo chiamerò Vincenzo d’ora in poi, nome fittizio), che la prima volta era scoppiato a ridere, tira un grande sospiro di sollievo e quando Manuela chiede “come state” strascica un “beeeeeeneeee” sentito in ogni sua cellula.

È veramente un privilegio poter condurre questi individui in un percorso di ben-Essere e comprensione della propria natura essenziale di Esseri Umani. Sento che stanno cominciando a sgretolarsi schemi di pensiero e credenze limitanti. Ci salutiamo affettuosamente, e ci diamo appuntamento al prossimo giovedì.

Infinita gratitudine nel mio cuore per la possibilità di vivere questa esperienza.

Dentro.

La Libertà è uno stato di coscienza.”

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