La nuova condivisione di Roberto Pagani da Liberi Dentro ad Aosta:

“Quinta settimana in carcere.

Il viaggio ormai va in pilota automatico, e i gesti e le procedure di ingresso sono diventate routine. Con una novità, ossia che i primi due controlli sono effettuati da ragazze. In un carcere maschile, è rincuorante vedere una presenza femminile nella polizia penitenziaria. Noto la cura con cui ad ogni controllo vengono registrati nomi, orari, con telefonate incrociate tra i posti di controllo. È un sistema infallibile per tenere sotto controllo gli accessi, forza tutti ad essere attenti e vigili.


Il cortile interno mostra i segnali della primavera. L’erba è esplosa in ciuffi verdi che ondeggiano al vento, e sembra orgogliosa di essere riuscita anche quest’anno ad imporsi in un ambiente dominato dal cemento. Due gatti guizzano veloci sul vialetto di accesso, sono molto circospetti e sembrano quasi perplessi dell’avere perso la loro invisibilità ed essersi fatti notare.
Mentre oltrepassiamo il terzo controllo e veniamo accompagnati alla stanza, noto la rapidità con cui la polizia penitenziaria riesce a trovare la chiave per ogni porta. In un mazzo che contiene tante di queste enormi chiavi dorate, apparentemente tutte uguali al mio occhio, vanno a colpo sicuro per ogni toppa. Regna un clima di efficienza e controllo.


Oggi approfondiamo il perdono, e la capacità di lasciare andare la prospettiva della ragione, per entrare nella prospettiva del cuore. Forse il clima così regimentato del carcere rende rigidi coloro che ci vivono, e i partecipanti mostrano difficoltà in un cambio di prospettiva così radicale. Danno per scontato che ad un comportamento sbagliato corrisponda una punizione, e noi parliamo di rimuovere giudizio, identificazione e attaccamento, che sono le tre trappole che creano sofferenza. La teoria non è semplice da trasmettere, ed infatti sono gli esempi personali che riescono a sciogliere le difficoltà.

Vincenzo (nome fittizio), il giovane del gruppo, racconta della sua infanzia, di come sia stato affidato a degli zii che hanno messo sotto controllo la sua natura ribelle. Ci racconta della severità con cui lo zio lo malmenava per delle sciocchezze, e di quando si chiudeva in camera a piangere. Sembrava stesse raccontando la storia di Harry Potter, rinchiuso nel sottoscala da parenti severi, senza alcuna forma di compassione umana. Per Vincenzo era diventato normale sentirsi giudicato e condannato, e si è identificato in questo ruolo di fatica e sofferenza, tanto che persino i suoi sogni sono quasi sempre dolorosi. Ci racconta di quando usciva di casa nella notte, in passeggiate sonnambule, alla ricerca di una libertà che gli era negata. Proviamo a dargli una prospettiva nuova, una visione basata sulla consapevolezza della propria natura interiore e sulla possibilità di trasformare e liberare questo vissuto di sofferenza e costrizione. I suoi occhi si illuminano quando parla dei suoi sogni, perché si rende conto che almeno lì può cominciare a rivendicare il suo diritto al benessere, alla libertà interiore. L’attività onirica può far parte di un processo di liberazione se accoppiata a pratiche di consapevolezza che portino a coltivare la qualità degli stati interiori.


Nella pratica finale i volti si distendono, le spalle contratte si rilassano. Ogni volta facciamo dei piccoli passi, ma si comincia a delineare nei partecipanti un cammino. Siamo già oltre metà percorso, due mesi sono un breve tempo per compiere un processo di trasformazione, ma i segnali sono molto incoraggianti.

Come al solito, ci diamo appuntamento alla prossima settimana con un sorriso sulle labbra.

Infinita gratitudine nel mio cuore per la possibilità di vivere questa esperienza. 

Dentro.

La Libertà è uno stato di coscienza.”

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