Nasce una nuova rubrica dedicata al mondo delle carceri: dopo il “Diario di bordo con gli appunti da Gorgona“, ecco “Racconti da dentro“, condivisioni di Roberto Pagani alla sua prima esperienza di Liberi Dentro, il progetto sociale di educazione alla consapevolezza per persone detenute, riattivato presso la Casa Circondariale di Brissogne Aosta.

Lasciamo la parola al sentire… grazie Roberto!

“Carcere.

Già dalla foto si può percepire il contrasto tra la costrizione di una invalicabile recinzione e la libertà del paesaggio montano in cui il carcere è incastonato. I controlli per l’ingresso sono estenuanti. Mi colpisce in pancia la sensazione di un sistema disumanizzato e burocratico, che non vede più l’individuo se non attraverso documenti, incartamenti, scartoffie, il tutto infilato in una piccola fessura sotto il vetro blindato che a stento lascia vedere chi c’è al di là. Ci danno un tesserino, col quale possiamo entrare all’interno del secondo perimetro. Attraverso un cortile, in cui si intravede un orto smarrito nel cemento, giungiamo al secondo controllo. Depositiamo i cellulari e gli effetti personali in un armadietto, e ci inviano al terzo controllo. Qui finalmente possiamo incontrare la polizia penitenziaria senza avere uno spesso vetro frapposto tra di noi. Mi colpiscono le chiavi: enormi, dorate, sembrano giocattoli tanto sono esageratamente grandi. Ogni rappresentante della polizia penitenziaria ne maneggia un enorme mazzo, le portano alla cintura o le tengono in mano. Loro possono decidere chi entra e chi esce.

Un giovane (lo chiamerò Giuseppe) ci accompagna nel corridoio. Tutto è dipinto di azzurro, qualcuno avrà avuto l’idea geniale di alleggerire col colore del cielo questo edificio che trasuda pesantezza in ogni granello di cemento. Persino il pavimento è stato dipinto, ma l’usura di infiniti passi rivela la palladiana sottostante. Giuseppe manovra le sue chiavi nelle sproporzionate toppe di spesse porte azzurre, è gentile e nonostante la mascherina i suoi occhi tradiscono un sorriso. Ci spiega che al “corso di consapevolezza” (così loro internamente hanno deciso di chiamare il nostro progetto “Liberi Dentro”) si sono per ora iscritte solo quattro persone. Io e Manuela ci guardiamo allibiti, ma ci affidiamo e ci lasciamo condurre in una stanzetta, al di là dell’ennesima porta blindata. La stanzetta è piena di banchi e sedie, sembra di essere entrati in una classe di scuola. Sul lato delle macchine da cucire. In fondo alla stanzetta, sotto le finestre blindate, dei vassoi di terriccio con delle piantine. Tutti gli oggetti sembrano sparsi alla rinfusa, si percepisce che non c’è la cura di un proprietario del luogo.

Giuseppe ci dice di sistemarci mentre va a prendere i detenuti dalle loro celle. Io cerco di fare un po’ di spazio, e creare un minimo di ambiente, disponendo il computer su un banco e creando un minuscolo anfiteatro di quattro sedie. Giuseppe torna, e con uno sguardo abbacchiato ci dice che solo uno dei detenuti riuscirà a venire oggi e ci chiede se vogliamo comunque procedere. Io e Manuela ci guardiamo e diciamo che certo, siamo qui apposta, e se possiamo fare la differenza anche per un solo detenuto noi siamo felici. Giuseppe torna con Pasquale (nome fittizio). Un uomo di mezza età, col corpo robusto che poco azzecca con gli occhi buoni, cerchiati da occhiali dorati. Ci accomodiamo e con poche battute ci mettiamo a nostro agio, come se fossimo in un bar. Ci racconta che la famiglia lo ha abbandonato, e mai potrebbe tornare al suo paese, pena la morte.

Manuela spiega il progetto “Liberi Dentro”, finalizzato a trovare la libertà interiore anche dentro ad un carcere, usando strumenti di consapevolezza quali la meditazione ed il perdono. Lui segue attento, ogni tanto interviene per sottolineare quanto già sente risuonare in sé tutto quello che diciamo, e ci racconta di quanto ferma sia la sua scelta di cambiare vita. Ha solo una paura, ossia quella di venire deviato dalla sua scelta una volta “fuori”. E infatti non ha fretta di uscire, vuole rafforzare il suo intento mentre è “dentro” per non vacillare. Questo progetto sembra scritto apposta per lui. Tre ore volano tra aneddoti, esercizi di respirazione pranayama che lui esegue con grande cura e una prima esperienza di meditazione. Ci salutiamo con una stretta di mano e sguardi sorridenti che sanno di intesa di famiglia, pur essendo così lontane le nostre realtà. Ci diamo appuntamento al prossimo giovedì. Saremo nel carcere per due mesi, e Pasquale sorride. Ci dice che la prossima volta porterà anche altri compagni di detenzione.

Infinita gratitudine nel mio cuore per la possibilità di vivere questa esperienza.

Dentro.

La Libertà è uno stato di coscienza.”

Scopri di più su Liberi Dentro cliccando qui.

4 Comments

  • Mari Provenzano
    Posted Marzo 17, 2022 8:01 pm 1Likes

    Certe volte la vita sembra un girotondo di spigoli..ogni volta che giri l’angolo speri di trovare qualcuno o qualcosa e invece continui a trovare spigoli. E proprio quando hai perso la speranza, svolti l’ ennesimo angolo e vieni ” acchiappato dalla mano o dal sorriso di uno sconosciuto. Grazie Roberto e grazie Manuela per esservi fatti trovare dietro l’ angolo di Giuseppe come un dono e grazie anche a lui che ha avuto il coraggio per fare spazio e ricevere questo dono🙏❤️

  • Giovanna Sequino
    Posted Marzo 18, 2022 1:48 pm 1Likes

    Provo grande ammirazione per le persone che si sono messe al servizio di questa nobile causa. Leggere questo articolo mi riempie il cuore di speranza, la speranza che possa esistere un percorso di recupero umano, comprensivo e gentile che vada oltre il giudizio e la punizione.

    • admin
      Posted Marzo 18, 2022 2:01 pm 0Likes

      Grazie Giovanna, si è proprio questo il focus del paradigma di giustizia consapevole che portiamo avanti e su cui si basano tutti i nostri progetti in questo ambito, nelle carceri così come fuori, perchè è un tema sociale, quindi che riguarda tutti noi.
      https://mylifedesign.org/cosa-facciamo/giustizia/

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