Ecco la nuova condivisione di Roberto Pagani, al rientro dal percorso di Liberi Dentro attivo nel carcere di Aosta:
“Terza settimana in carcere.
Continua l’avventura che io e Manuela Zavan ogni giovedì viviamo per il progetto Liberi Dentro. Oggi la giornata è grigia e pesante, le nuvole sembrano essere stanche e si sono adagiate tra i monti. La valle è riempita da una nebbiolina che rende il nostro arrivo al carcere circospetto.
La procedura di ingresso è ormai diventata una routine, ma un avvocato, che sta facendo la procedura davanti a noi, sembra stizzito dai controlli. Ha fretta, probabilmente è in ritardo, ma qualcosa non è a posto coi documenti del suo collega, e il rappresentante della polizia penitenziaria all’ingresso continua a ripetere “mi spiace avvocato, ma il suo collega non lo posso fare entrare”. L’avvocato sembra irrigidito nel suo abito gessato, e io dentro di me sorrido al fatto che se fossi al suo posto avrei messo qualsiasi abito tranne che uno a righe, per entrare in carcere. Ma sono sicuro che non riderebbe, se facessi una battuta su questo per spezzare il nervosismo che si è creato nello stanzino di ingresso, e quindi resto in silenzio ad osservare.Il collega se ne torna indispettito in auto e l’avvocato schizza verso il suo appuntamento, quindi arriva il nostro turno ed entriamo.
Lo ritroviamo al secondo controllo, hanno visionato i suoi documenti, ma per qualche motivo non aprono la porta che dà sul cortile interno. L’avvocato è sempre più nervoso, ed io penso a tutte le situazioni in cui arrivavo in ritardo ad una riunione di lavoro. L’aereo con problemi, il traffico, la coda alla reception, l’ascensore che si fermava ad ogni piano… Quante situazioni in cui l’ansia schizzava alle stelle, e dentro sentivo una rabbia ed una frustrazione montare in me fino a togliermi il fiato. Ed infatti l’avvocato sembra diventare cianotico, è sempre più rosso mentre impreca fra i denti al fatto che la porta elettrica non si apre. Lo osservo con empatia, cercando di trasmettergli la calma che ora sento dentro, i giorni dell’ansia da stress lavorativo sono dietro di me. Finalmente sentiamo il motorino elettrico avviarsi, e la porta blindata lentamente si scosta, lasciando filtrare la luce del cortile interno. L’avvocato si lancia, mentre io e Manuela procediamo con calma.
Ogni volta noto un dettaglio nuovo. Ora noto sull’angolo di una aiuola una piccola statuetta posata su un pilastrino. Mi avvicino e vedo una Madonna in legno con sotto una scritta.”Madonnina! Fammi scoprire sempre di più che la vita è bella.”Sorrido a questo messaggio, la mente corre ad un film di Benigni, e sento l’intento di chi lo posizionò lì. Ma al tempo stesso penso a quanto poco probabilmente sia stato letto e compreso, in questo luogo. Scopro poi, su Internet, che questa statuetta è stata scolpita dai detenuti nel laboratorio di falegnameria, e trovo un’immagine che posso pubblicare, non avendo con me il telefonino per poter fare una foto…
Giungiamo alla solita sala, e pian piano arrivano i partecipanti al progetto. Si sta creando un’atmosfera di familiarità, e sembrano più rilassati. Quando Manuela li porta a fare una pratica, entrano subito in silenzio e seguono con attenzione. Il ragazzo che la volta scorsa era scoppiato a ridere per la tensione, questa volta è concentrato, e addirittura chiede istruzioni su come meglio tenere la postura con la colonna vertebrale eretta. Pasquale (nome fittizio) sembra calarsi sempre di più nel ruolo del “saggio del gruppo”. I suoi interventi sono sempre pacati, anche se si percepisce la sua esigenza di dialogo, di essere ascoltato e compreso. E infatti le ore volano, Manuela spinge per trasmettere concetti e pratiche importanti, ma al tempo stesso creiamo uno spazio di ascolto e di condivisione. Mi commuove vedere questi uomini apparentemente duri aprire il cuore e mostrare la loro umanità, i loro dubbi, le loro domande, che sono sempre di più esistenziali.
Vedo sempre più chiaramente il potere di percorsi come questo, che offrono loro una possibilità di entrare in profondità in quelle che altrimenti rimangono domande senza risposte, che frullano nella loro testa quando stanno per addormentarsi, o nei momenti di maggiore silenzio ed introspezione. Ed infatti ci raccontano di come molti di loro sembrano rifuggire il silenzio, si buttano nelle mille opportunità offerte nel carcere per fare lavori manuali, artigianato, corsi di ogni tipo che sicuramente trasmettono qualità del “saper fare”, ma che difficilmente sviluppano le qualità del “saper Essere”.
E noi siamo qui per questo. Perché noi per primi stiamo esplorando il ben-Essere nelle nostre vite. Ed è un privilegio poterlo fare insieme a questi compagni di viaggio nel carcere.
Infinita gratitudine nel mio cuore per la possibilità di vivere questa esperienza.
Dentro.
La Libertà è uno stato di coscienza.”
Roberto Pagani
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